Imparare a guardare il mondo con gli occhi del Pontificato di Francesco
20 agosto 2019
Meeting per l’amicizia fra i popoli - Rimini
Voglio anzitutto esprimere il mio ringraziamento a ciascuno di voi e in particolare agli organizzatori del Meeting che mi hanno invitato. L’amicizia tra i popoli e tra le persone inizia sempre da un incontro, dall’ascolto reciproco e dalla condivisione di ciò che siamo e viviamo. È per questi motivi che ho accettato con gioia di essere tra voi oggi.
Per sviluppare il tema che mi avete proposto, desidero condividere con voi lo sguardo della Compagnia di Gesù sul mondo e le nostre preferenze apostoliche universali per i prossimi dieci anni. In questi ultimi due anni il Corpo della Compagnia si è interrogato su come servire il Signore e la Chiesa nel tempo del Pontificato di Francesco nel contesto sociale, politico ed economico che il mondo sta vivendo.
Il punto di partenza del nostro discernimento - che ha coinvolto tutte le comunità dei gesuiti e tutte le nostre opere apostoliche – è stata la nostra “unità nella diversità” di culture, lingue e tradizioni. Attualmente la Compagnia è composta da circa 15.600 gesuiti, sparsi in circa 110 Paesi nel mondo, con un baricentro che, dall’Europa, si è spostato nella fascia che va dall’ America Latina, attraverso l’Africa e fino in Asia1. Collaboriamo in ogni parte del mondo con migliaia di laici, altri religiosi e religiose, preti diocesani, uomini e donne impegnati nella stessa missione apostolica nei campi teologico e spirituale, culturale e sociale.
Questo ricco processo di ascolto e di discernimento mi ha permesso di presentare al Santo Padre quattro preferenze apostoliche universali, che vi leggo nel modo in cui le abbiamo formulate:
A. Indicare il cammino verso Dio mediante gli Esercizi Spirituali e il discernimento.
B. Camminare insieme ai poveri, agli esclusi del mondo, feriti nella propria dignità, in una missione di riconciliazione e di giustizia.
C. Accompagnare i giovani nella creazione di un futuro di speranza.
D. Collaborare nella cura della Casa Comune.
Nel 2003 la Compagnia aveva stabilito come preferenze il ministero in Cina e in Africa, il servizio dei migranti e rifugiati, l’apostolato intellettuale e le Istituzioni internazionali della Compagnia a Roma. Richiamavano i cinque grandi bisogni della missione che si potevano gestire con l’aiuto del corpo universale della Compagnia. Questi bisogni rimangono una sfida per tutti noi e non vanno né trascurati né sostituiti.
Le quattro preferenze che vi ho letto sono invece “orientamenti” che mettono in evidenza il carattere spirituale della nostra missione. Non c’è una preferenza più importante di altre: tutte sono per noi una chiamata che tocca la nostra identità e vanno considerate e comprese insieme. Inoltre, non elencano nuove “cose” da fare, ma trattano della “ispirazione su come fare” e vivere la missione, all’interno di un orizzonte universale, da declinare nelle specificità dei luoghi in cui ci troviamo.
Nella sua lettera di conferma del 6 febbraio 2019, Papa Francesco ha considerato che “il processo seguito dalla Compagnia per giungere alla preferenze apostoliche universali è stato (...) un reale discernimento”. Le preferenze proposte sono, secondo il Pontefice, “in sintonia con le priorità attuali della Chiesa, espresse attraverso il magistero ordinario del Papa, dei Sinodi e delle Conferenze Episcopali, soprattutto a partire dall’Evangelii gaudium”. Il Papa ha poi aggiunto: “la prima preferenza è capitale, perché presuppone come condizione di base il rapporto del gesuita con il Signore, la vita personale e comunitaria di preghiera e di discernimento”. Lo ha ribadito: “Senza questo atteggiamento orante il resto non funziona”.
L’esperienza di sant’Ignazio di Loyola ci insegna che ai problemi nuovi della Chiesa e del mondo non si possono dare risposte vecchie. Per riformare le istituzioni è necessario riformare il cuore di chi le governa. Egli è stato un “uomo-ponte” del secolo XVI, quello dei cambiamenti epocali, in cui gli spazi del pianeta e dell’umano si dilatano e bisogna costruire un nuovo mondo; Cristoforo Colombo ha appena scoperto l’America; con Copernico la scienza dimostra che è la terra a girare intorno al sole; sono i tempi di Lutero e del Concilio di Trento…
Nei cambiamenti d’epoca come il nostro, ogni riforma interna alla Chiesa inizia dal recuperare il rapporto con se stessi in relazione a Cristo, in comunione con il successore di Pietro. Le preferenze apostoliche universali sono state formulate secondo questo spirito. Nascono dall’incontro con Gesù crocifisso, il cui amore dona uno “sguardo universale”. Ce lo ricorda il passo del Vangelo di Giovanni: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”2. Occorre dunque, in parole di Sant’Ignazio, “conoscere intimamente il Signore che per me si è fatto uomo, perché più lo ami e lo segua”3.
È per questo che il Papa ci ha chiesto di ripartire dalla spiritualità. Per la Compagnia, riporre al centro la cura della vita spirituale, secondo il carisma che abbiamo ricevuto, significa riattivare i processi, generare speranza, permettere di vedere il mondo nel modo in cui Dio lo guarda. I gesti, le parole e le scelte del Pontificato di Francesco vanno letti con questo sguardo universale, che ricompone le tensioni, i fraintendimenti e gli interessi particolari.
a. Indicare il cammino verso Dio mediante gli Esercizi Spirituali e il Discernimento
La parola “discernimento” è una delle parole che caratterizzano questo Pontificato. Bisogna però comprenderla bene, per non fraintenderla nel senso di un “fare ciò che voglio” e giustificarlo.
Alcune tendenze delle culture contemporanee sembrano svuotare il discernimento dal suo significato antropologico, cioè dal senso di obbligazione verso gli imperativi della coscienza, dalla responsabilità verso i poveri che soffrono, infine, dall’obbedienza alla volontà di Dio4. Solo nel discernimento si integrano la verità e la libertà, la legge e la responsabilità, l’autorità e l’obbedienza, che, dal latino ob-audire, significa ascoltare davanti all’Altro.
Il desiderio e la volontà di discernere non si danno per scontati. In genere non si tratta di un atteggiamento spontaneo o normale. Il discernimento non è semplice, anzi è un processo complesso che coinvolge tutta la persone e i gruppi che lo fanno. Perciò, occorre chiedersi: esiste una reale volontà di fare discernimento? Le tappe di questo processo sono riassunte dal Papa nell’Evangelii gaudium,quando cita i verbi: “riconoscere”, “interpretare”, “scegliere”.
Da quando, nel 1523, Ignazio di Loyola ha sistematizzato le regole del discernimento, queste sono diventate una grammatica comune offerta a tutti gli uomini di buona volontà. L’esperienza degli Esercizi Spirituali porta a capire la vocazione a cui siamo chiamati per servire Cristo e quindi a scegliere liberamente di farlo. Mediante il discernimento si riescono a distinguere le seduzioni del male, incluso quando si rivestono di apparenza di bene, dai segni della presenza di Dio che opera nella storia umana. Il discernimento porta quindi a fare delle scelte sul senso della propria vita.
È nel discernimento che prendono forma le grandi domande della vita personale e della comunità cristiana e umana: chi sono chiamato a essere? Quale decisione è utile prendere come comunità di credenti per il bene di tutti? Come evitare il male sociale e costruire il bene comune?
Nella vita personale, come in quella sociale e politica, il discernimento aiuta la costruzione del bene comune: chi lo compie riceve in dono «coraggio, forza, consolazioni e pace», scrive Ignazio di Loyola nel libro degli Esercizi Spirituali. Attraverso il discernimento non ci si divide più tra credenti e non credenti, ma tra uomini morali e non, tra chi promuove il bene di tutti e chi semina paura e divisione. Ma c’è di più. Nel discernimento comunitario, i limiti delle crisi personali e sociali possono lasciar spazio alla vita che nasce dopo la morte e ai nuovi segni dei tempi.
La Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo è l’esempio di come i popoli e le Nazioni abbiano fatto un discernimento maturo, mettendo al centro la dignità della persona. Purtroppo, in questi ultimi anni assistiamo a una contrazione dell’universalità dei diritti umani, vediamo cambiare il rapporto tra legge e potere. Gli esempi che potremmo fare sono molti. Dagli immigrati alla frontiera del Messico, ai viaggi della speranza nel Mar Mediterraneo, dagli esodi silenziosi delle popolazioni dell’Africa alle persecuzioni delle minoranze etniche dell’Asia e dell’America Latina, è il potere politico a decidere, di volta in volta, se anche le persone che non hanno diritto di cittadinanza possano godere dei diritti umani.
È la società secolare a sfidarci: per proclamare il Vangelo occorre superare sia i secolarismi sia la nostalgia per espressioni culturali del passato. Anche la società secolare è un segno dei tempi, che ci offre l’opportunità di forgiare la nostra fede nella storia. È il luogo in cui si aprono spazi nuovi per la libertà umana e, in essa, la libertà religiosa. È nella società secolare che nascono le condizioni per una rinnovata adesione alla sequela di Gesù negli ambienti sociali, economici, culturali e politici del nostro tempo.
b. Camminare insieme ai poveri, agli esclusi del mondo, feriti nella propria dignità, in una missione di riconciliazione e di giustizia
Per Papa Francesco, il futuro dell’umanità passa dall’inclusione sociale dei poveri, dalla costruzione della pace e dal dialogo sociale5. L’inclusione dei poveri non si dà dall’esterno. È possibile solo se loro decidono di farla. La condizione per costruire inclusione, giustizia e pace è “camminare insieme”. Francesco ne dà l’esempio. Non ci sono ricette teoriche, occorre camminare insieme. Per farlo però dobbiamo avvicinarci veramente ai poveri come persone, conoscere la loro vita e acquisire il loro sguardo sulla vita. In questo modo possiamo proseguire sulla strada percorsa da Gesù di Nazareth quando si è incarnato “povero tra i poveri”. Solo così possiamo guardare il mondo dal punto di vista dei poveri.
Le ingiustizie vanno riconosciute e chiamate per nome e le loro cause vanno studiate, per promuovere il cambiamento delle strutture economiche, politiche e sociali che le generano. Dobbiamo ammetterlo. Non è un compito intellettuale semplice capire fino in fondo le cause strutturali delle ingiustizie e delle condizioni inumane in cui versa la maggioranza degli esseri umani.
Sia la complessità della realtà sia le condizioni di chi la vive richiedono da parte nostra uno sforzo originale e sistematico.
La giustizia può essere nutrita dalla radice della vendetta o dalla radice della riconciliazione. La giustizia, come frutto della riconciliazione, è rimettere a posto le relazioni costruite su basi sbagliate, quelle tra le persone, tra i popoli e le loro culture, con la natura e con Dio.
Scrive Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium6: «Nella misura in cui Egli (Gesù) riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: “Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”(Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: “Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino”(Mt 10,7)».
La dimensione politica rimane di primaria importanza per promuovere la giustizia e la riconciliazione. Un mondo giusto e governato democraticamente richiede di essere autenticamente cittadini. Investire nella formazione alla cittadinanza ci aiuterà a rafforzare la democrazia politica, a promuovere le organizzazioni sociali impegnate nella ricerca del Bene Comune e ad arginare le nefaste conseguenze delle diverse forme del “neo-liberalismo”, del fondamentalismo e del populismo. Ogni persona è chiamata ad essere responsabile della sua cittadinanza e a educarsi in essa.
Sono necessarie persone che governino ponendo il bene comune al di sopra degli interessi particolari, anche se legittimi. Dal punto di vista cristiano, diventare un “politico” significa ascoltare e rispondere a una chiamata del Signore. È parte della missione di riconciliazione e giustizia scoprire, promuovere e formare vocazioni al servizio pubblico. È questa la politica con la “P maiuscola” di cui parla Francesco.
La missione di giustizia e di riconciliazione per la Compagnia di Gesù significa camminare secondo lo stile di Gesù insieme ai poveri, aiutando i migranti e le vittime del traffico di esseri umani, contribuendo all’eliminazione di ogni tipo di abuso, dentro e fuori la Chiesa. Non vi è ombra di dubbio: l’ingiustizia strutturale è collegata agli abusi di potere, sessuali e di coscienza. Promuovere la giustizia significa quindi contribuire effettivamente a sradicare ogni piaga di abuso.
Il mio predecessore, p. Pedro Arrupe, missionario in Giappone e Preposito Generale dal 1965 al 1983, ci ha insegnato che il servizio della fede e la promozione della giustizia sono due polmoni dell’unico corpo: senza la dimensione della fede, l’azione diventerebbe ideologica; senza la costruzione della giustizia, la testimonianza cristiana si limiterebbe alla gestione del culto. È anche sotto questo binomio, fede-giustizia che va compreso il Pontificato di Francesco.
c. Accompagnare i giovani nella creazione di un futuro di speranza
La rete educativa ignaziana accompagna ogni anno circa un milione di studenti nel mondo, se nel novero includiamo le scuole di Fe y Alegría. È per la Compagnia una grande responsabilità formare “uomini e donne con e per gli altri”. Le giovani generazioni cambiano velocemente: è passato mezzo secolo dal 1968 ad oggi, e i giovani del terzo millennio - per paura di perdere il poco che hanno conquistato da soli – solo di recente hanno ripreso a rivendicare insieme i loro diritti sociali. La loro generazione pone interrogativi all’intero sistema educativo e sociale: verso quale meta sono orientati? In quale modo accompagnarli? Quale dialogo è possibile?
La nostra missione è quella di preparare con loro un futuro di speranza. I poveri e i giovani sono diventati i “luoghi teologici”, i crocifissi del mondo attuale da cui può sgorgare nuova vita. Lo Spirito Santo ci parla oggi tramite i giovani. Sembra una provocazione, sapendo che la maggioranza di loro è composta da poveri. Ci parla quando li accompagniamo nei loro contesti vitali, quando ci immergiamo nelle loro angosce e sogni. Noi tutti siamo chiamati a un movimento di avvicinamento ai loro mondi vitali.
Più che parlare di «insegnamento» - il cui etimo ricorda un «mettere dentro» -, la Chiesa guidata da Francesco sta scommettendo sull’«educazione» dei giovani, e ciò nel senso più alto del «tirare fuori» da loro risorse, innovazioni e valori.
La dimensione dell’esperienza è una forma alta di accompagnamento del giovane: per la tradizione ignaziana, richiede una formazione continua, personalizzata, con l’aiuto di letture spirituali o studi scelti, la creazione di luoghi di ascolto, l’impegno nel servizio della società e giorni di preghiera e di silenzio da vivere durante l’anno per avere la possibilità di rileggere la propria vita.
La Compagnia di Gesù ha scelto di mettersi in ascolto dei giovani. A loro chiede di essere aiutata a capire la missione attraverso un aggiornamento, un upgrade, per essere provocata dalla loro ricerca di fede, dal loro linguaggio, dai loro affetti e dalle loro nuove pratiche, per creare un nuovo senso di appartenenza comunitaria che includa e non si esaurisca in quello che i giovani sperimentano, da soli e nella Rete. La sfida è creare insieme degli “spazi esistenziali” dove i giovani siano veri protagonisti, imparino a prendere delle decisioni e a guidare processi personali e comunitari.
d. Collaborare nella cura della Casa Comune
Papa Francesco ha più volte affermato che l’Enciclica Laudato si’ è un’enciclica sociale. Non esistono, infatti, due crisi separate, una ambientale e una sociale, ma una crisi socio-ambientale. L’Enciclica ci invita a promuovere un nuovo modello di sviluppo umano integrale perché «tutto nel mondo è intimamente connesso»7.
Questa sfida ci chiama a proporre modelli alternativi di vita, sostenibili, basati sul rispetto della creazione e in grado di produrre e distribuire beni con giustizia, perché a tutti sia garantita un’esistenza dignitosa. Ciascuno di noi è chiamato ad abitare una doppia sfida: da una parte contribuire a creare alternative al modello esistente che mette a rischio la vita del pianeta e dall’altra a testimoniare uno stile di vita in cui emerga l’armonia con l’ambiente. Certo, serve il nostro impegno per i cambiamenti strutturali, ma sono urgenti anche i “piccoli cambiamenti” che incidono sui nostri stili di vita quotidiani come nell’uso della plastica, dell’energia, il tipo di trasporto, la scelta dei vestiti e così via.
L’ecologia integrale diventa così il paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali (riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, ecc.) con tutte le altre questioni della vita, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani, i comportamenti virtuosi, il buon governo delle città. Ancora di più, l’attenzione ai legami e alle relazioni consente di trovare nell’ecologia integrale una chiave per leggere la vita a tutti i livelli, dal rapporto con il proprio corpo (n. 155) alle dinamiche sociali e istituzionali: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l'ambiente e per la qualità della vita umana [...]. In tal senso, l’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione» (LS 142).
Per la Compagnia di Gesù, la cura di ecosistemi ormai fragili come la vita in Amazzonia, in India e in Indonesia e nei bacini del Congo è un modo di rendere un culto autentico all’opera creatrice di Dio.
La cittadinanza universale si costruisce attraverso una politica sovranazionale che privilegi la cooperazione sulla divisione, perché beni come l’acqua, l’aria, il suolo, il clima, siano affidati non alla gestione delle singole Nazioni, ma alla cura della comunità umana universale.
Una ulteriore riflessione per concludere. Fin dalla sua origine, la Compagnia di Gesù è stata formata da gesuiti di diverse culture e nazioni e che appartenevano a Stati tra loro in guerra. Questo sguardo universale, che supera le divisioni, nasce da tre esperienze: un’amicizia profonda con il Signore Gesù, lo studio e il servizio ai più bisognosi. Lo spiegano due immagini, che vorrei lasciarvi perché valide anche per noi, oggi.
Nella piazza del Collegio Romano, a Roma, si trovano l’antico Collegio Romano, fondato da Sant’Ignazio, in cui si preparava il clero di tutto il mondo, e una piccola casa, chiamata “Santa Marta”, in cui erano accolte e recuperate le prostitute. Lì si può capire cosa fosse la missione per Sant’Ignazio.
Seconda immagine. Quando Papa Paolo III chiese a Sant’Ignazio l’invio di due gesuiti teologi per il Concilio di Trento, i padri Laínez e Salmerón si distinsero non solo per l’intelligenza dei loro contributi teologici, ma anche per la loro testimonianza di vita: partecipavano alle sessioni del Concilio alloggiando nell’ ospedale per assistere in tutti i tempi liberi gli ammalati.
Le preferenze apostoliche universali che ho voluto condividere con voi sono come semi, che per germogliare richiedono cura, preghiera, studio, servizio, testimonianza personale e di Corpo.
Questo è un modo di essere Chiesa che Papa Francesco conosce perché anche lui appartiene a questa nostra esperienza spirituale. Si tratta di un cammino, da compiere in collaborazione e in condivisione con altri Ordini e Congregazioni di religiosi, con il laicato e con i movimenti, come Comunione e Liberazione, dialogando in un costante processo dinamico e in stretta connessione tra noi.
Ci è richiesta la capacità di far prevalere la comunione sulle nostre differenze, e spostarci sempre alle “frontiere”, geografiche e intellettuali. Come due gambe, lungo la strada ci sosterranno la dimensione spirituale e quella intellettuale. Il resto lo farà la collaborazione tra noi, nella fedeltà al Vangelo e agli insegnamenti del Magistero.
«Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, -scrive il Papa nella Laudato si’ - ci offre le forze e la luce di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade.
A Lui sia lode!»8
Grazie per la vostra attenzione e la vostra pazienza.
[1] Al 1º gennaio 2019 i gesuiti erano 15.586, 11.208 sacerdoti, 1.031 fratelli, 2.609 scolastici e 738 novizi.
[2] Gv. 1,18.
[3] Esercizi Spirituali, nº 104.
[4] Nel Padre Nostro preghiamo: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”.
[5] Cfr. Evangelii Gaudium, nº185.
[6] Nº 180.
[7] Laudato Si’ nº 16.
[8] Laudato Si’, nº 245.
Guarda il video dell'intervento di P. Sosa al Meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini.