JRS Belgio: Lasciare che la luce entri
Di Bruno Standaert, JRS Belgio
Quando visito le persone in detenzione, e qui parlo di migranti, sono sempre colpito da quanto si sentano isolati, soli e disperati. Ogni persona ha la sua storia di fuga: fuggono perché sono stigmatizzati a causa del loro orientamento sessuale, per uscire dalla prostituzione, a causa della persecuzione religiosa, o perché non possono più lavorare la loro terra a causa della siccità. Ciononostante, tutti questi rifugiati hanno un grande sogno: ricostruirsi un futuro felice in un ambiente sicuro. Il Belgio è la terra del latte e miele finché non vengono fermati all’aeroporto e messi in detenzione. Sono privati della loro libertà, non possono condividere i loro segreti più profondi con i loro compagni di detenzione, si sentono depressi, non riescono più a dormire per la paura. Una cosa è certa: tornare indietro non è un’opzione, la tentazione del suicidio è reale.
Per
sei anni ho lavorato come volontario per il JRS Belgio, visitando i migranti
nei centri di detenzione. Oggi lavoro a livello dirigenziale come presidente
del consiglio di amministrazione. Visitare i migranti detenuti per conto del JRS
Belgio è un lavoro meraviglioso. Si va alle frontiere. Non si riesce a
risolvere molto, in quanto la maggior parte dei rifugiati verrà rimpatriata. Ma
il lavoro consiste prima di tutto nell’accompagnarli, essere presente,
ascoltare la loro storia e i loro desideri più profondi. In questo viaggio con
i migranti, si entra in contatto con persone vulnerabili, ma si impara anche a
scoprire la propria vulnerabilità. La detenzione non porta pace e mette il
migrante in una situazione disperata. È sconvolto dall’ingiustizia dell’essere
privato della sua libertà senza aver commesso alcuna attività criminale.
Accompagnare è una ricerca in cui ho imparato a lasciarmi portare e a farmi guidare dalla bellezza che si trova in ogni essere umano: un diamante nel cuore di ognuno di noi. Lo dico anche ai miei migranti. Dico loro che hanno un diamante che nessuno può togliergli; che è la loro natura più profonda e che hanno la scelta di mostrarla o meno. Il mio compito è quello di far entrare la luce.
Uno degli esercizi che faccio con loro consiste nel denominare le sfaccettature del loro diamante: connessione, servizio, gioia, indignazione, benevolenza, speranza, difesa dei diritti, umorismo, creatività... Vedo pietre preziose e brillanti nei miei incontri con i migranti, ma anche migranti che ricominciano a vivere, a sognare, ad aiutare i loro compagni di detenzione, ad offrire conforto, a pregare, a rileggere la loro giornata (l’Examen ignaziano), a essere pienamente presenti, e talvolta no... fino a quando ricevono una lettera dal dipartimento dei rifugiati che li informa della decisione, che è spesso quella del rimpatrio. Questa lettera è come una spada di Damocle che pende sulla loro testa durante il periodo di detenzione, che può durare fino a cinque mesi.
Gli addii sono quindi fatti con sentimenti contrastanti, un’amicizia profonda che è cresciuta e di solito finisce con molta delusione. Le uniche parole di conforto che posso offrire allora sono: “Sappi che non sei solo e che all’altro capo del mondo, in Belgio, qualcuno ti sta pensando”.
La
spiritualità ignaziana mi ha insegnato ad essere grato, a condividere la gioia,
ad andare ai limiti della vulnerabilità delle persone, a farmi guidare
dolcemente da una bussola che mi indica dove posso trovare conforto interiore.
In questo senso, il JRS è soprattutto un progetto di speranza, e ne sono molto
grato.