Padre Cassar: il Papa in Iraq ha seminato pace e speranza
Di Iacopo Scaramuzzi
Il Papa “ha seminato semi di speranza e pace”: padre Joseph Cassar sj, incaricato di guidare il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Iraq (JRS), commenta a caldo la visita di Francesco nel martoriato paese mediorientale (5-8 marzo).
“Questa visita è stata come un kairos, un momento di valore, che va al di là dell’immediato tempo cronologico che viviamo, e che sta del tutto nelle mani di Dio”, commenta il gesuita maltese da Sharya, dove il JRS accompagna gli sfollati yazidi. “Mi è venuto in mente Gesù che va in giro, guarda la folla così bisognosa, oso dire come pecore senza pastore, e il Signore ha pietà di loro. Tutta la visita ha avuto una dimensione profetica, che per la sua rilevanza va oltre i confini della ormai ridottissima comunità cristiana: credo che Papa Francesco abbia seminato semi di speranza e pace in questo paese nel quale in questi quattro decenni si è riversato così tanto male, conflitti, bombardamenti, l’Isis. Tanta cattiveria, tanta violenza, tante persone hanno sofferto”.
Padre
Cassar ha avuto l’opportunità di incontrare brevemente Papa Francesco domenica
a margine della messa ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, insieme a tre
confratelli: mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, padre Michael
Zammit, Provinciale della Provincia del Vicino Oriente, e padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà cattolica nel seguito papale da Roma. “I miei due minuti
col Santo Padre sono stati belli: era molto stanco, quasi esausto, ma anche
molto, molto contento”. Due anni fa padre Cassar aveva incontrato Francesco in
Vaticano, in occasione di un’udienza concessa alla Roaco (Riunione delle Opere
di Aiuto alle Chiese Orientali): “Mi ero presentato al Papa molto brevemente
come gesuita che lavora in Iraq”, racconta oggi, “e poi lui mi aveva richiamato
e mi aveva detto: “Prega per me perché io voglio tanto andare lì”. E ieri ho
sentito che era molto contento di aver fatto quella visita”.
La visita che Francesco ha fatto al grand ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, a Najaf, città santa dell’islam sciita, è stato “un gesto che rispecchia la visita di san Francesco al Sultano. Il Papa non è andato lì per fare politica o diplomazia. Per la comunità sciita, qui maggioritaria, questa visita è stata molto importante per cercare di guarire le tante ferite che sono state inflitte all’Iraq da tanti anni di mutuo sospetto. Il significato di questo incontro va nel senso di quello che il Papa diceva: la pace di Dio è più forte della violenza e della guerra”. Così, il fatto che il primo ministro Mustafa Al-Kadhimi abbia dichiarato il 6 marzo Giornata nazionale della Tolleranza e della Coesistenza in Iraq in memoria della visita del papa ad Al-Sistani e del successivo incontro interreligioso a Ur, “ha un significato enorme”.
L’accoglienza riservata al Papa, “sia da parte dei cristiani che dei credenti di altre religioni, è stata bellissima, tutto ha funzionato molto bene”, afferma il gesuita, che racconta di avere incontrato suore, sacerdoti, laici venuti da piccoli villaggi in diversi luoghi dell’Iraq, contenti di partecipare alla messa conclusiva anche dopo tre, quattro ore di viaggio. “C’era gente arrivata dal distretto di Amadiya, al confine con la Turchia, da Sulaymaniyya, c’era padre Jens Petzold della Comunità monastica di Deir Mar Musa in Siria fondata da Paolo Dall’Oglio, tuttora scomparso, c’era tanta gente e vedevo dappertutto sulle facce un’immensa gioia. I nostri colleghi yazidi mi hanno detto di avere condiviso la gioia dei cristiani, e così colleghi musulmani che condividevano con noi la gioia di vedere il Santo Padre a Ur, l’antica città di Abramo, o di vederlo entrare a Mosul, questa città dove tutta la vigliaccheria dell’Isis ha fatto strage prima ancora dei bombardamenti”.
“Il
cristianesimo appartiene all’Iraq, non è un corpo estraneo, i cristiani sono in
queste terre da prima che l’Iraq si costituisse come Stato moderno. I cristiani
appartengono a queste terre”, sottolinea padre Cassar, aggiungendo: “È un
grande peccato che questo paese si sia svuotato della popolazione cristiana.
Chi è rimasto è rimasto per decisione o perché non aveva i mezzi e i contatti
per andare via. Penso a tutti coloro che sono nel limbo dell’esilio, in
Giordania o in Turchia o in Libano: non sono da dimenticare”.
A Qaraqosh, città a maggioranza cristiana devastata dall’Isis, la gioia si è frammista a incredulità: “Il responsabile locale del JRS, Fadi Yabbo, mi diceva che mai avrebbe ritenuto immaginabile che il Papa venisse a trovare questa piccola città. “Abuna, padre”, mi ha detto, “non hai idea cosa ha significato per me e tutta la gente questo, più di Hoshana” la celebrazione più grande dei cristiani di rito siriaco cattolico, la domenica delle palme, che si celebra quasi con più vigore della Pasqua di risurrezione, tutta la città esce coi rami degli ulivi a fare una grande processione: ieri era come Gesù che visitasse il nostro paese, una gioia che non possiamo contenere e i cui frutti si percepiranno e si vivranno anche nel futuro”.
Per padre Cassar, in particolare, le prime sfide da affrontare sono quelle legate alla drammatica situazione dei rifugiati. “Il Papa durante la messa ha detto che ci sono le sofferenze visibili e invisibili: ecco”, spiega il responsabile del Jesuit Refugee Service, “c’è tanta gente che soffre ancora, anche psicologicamente, per essere stati sfollati, sequestrati, per aver visto i parenti uccisi davanti ai propri occhi, e non solo durante la presenza dell’Isis, ma anche ad esempio nell’attentato nella cattedrale di rito siriaco visitata da Francesco a Baghdad il primo giorno della visita”.
Il
gesuita maltese, 60 anni domani, 9 marzo, 30 anni di sacerdozio, fu vicino,
negli ultimi mesi della sua vita a Roma, a padre Pedro Arrupe, preposito
generale della Compagnia di Gesù che fondò il JRS. Dal febbraio 2016 è il
direttore del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Iraq. “Siamo musulmani,
curdi, arabi, cristiani: stranieri siamo solo quattro”.
Subito dopo la visita del Papa si trova Sharya, dove il JRS accompagna gli sfollati yazidi: “Con il mio direttore regionale da Beirut, Daniel Corrou, e il Provinciale del vicino Oriente, Michael Zammit, abbiamo appena discusso con il responsabile del programma di salute mentale delle molteplici sfide che esistono qui per la popolazione dei sopravvissuti al genocidio degli yazidi nell'area di Sinjar, nel nord dell'Iraq, nell’agosto 2014. Ci sono ragazzi, bambini, donne sopravvissuti alla schiavitù dell’Isis, incarcerati, picchiati, abusati, persino addestrati a combattere. Ci sono anche coloro che sono riusciti a fuggire passando per il nord-est della Siria ed entrando nel Kurdistan iracheno, e ora si trovano o nei campi profughi o anche fuori, in situazioni ancora precarie. Questa è una situazione che dura da sette anni”. Padre Cassar spera di poter portare aiuto ai rifugiati anche in altri luoghi. “Se gli yazidi sopravvissuti al genocidio e ancora sfollati riescono a tornare a Sinjar mi piacerebbe che potessimo accompagnarli”. E ancora, “io sogno ancora che il JRS possa andare a Mosul per dare una mano nel ricostruire la pace. Per molti motivi, legati a permessi di accesso, finora non è stato possibile”.
Per il gesuita maltese il punto centrale è sempre “chiedersi, tramite discernimento: Signore, dove e in chi vuoi che il JRS ti serva?”.
Da qui
la speranza che i semi gettati dal Papa fioriscano. “Spero che ci sia
un’apertura più grande gli uni verso gli altri, spero che si possano
intraprendere iniziative comuni tra le religioni per rispondere ai bisogni di
quelli che sono più bisognosi in questo paese colpito doppiamente nel 2020,
dalla pandemia, con tutte le conseguenze economiche, e dal disastro economico
innescato dal crollo del prezzo del petrolio. La gente soffre, soffrono coloro
ai quali non viene pagato il salario, soffrono quelli che dipendono dal lavoro
precario giornaliero. Per questo spero che si possano intraprendere iniziative
comuni per aiutare i più bisognosi tra di noi. Spero che il messaggio del Papa
che siamo tutti fratelli e sorelle permei nel cuore della gente di buona
volontà”. Padre Cassar, che sottolinea di spendere metà del proprio tempo e del
proprio zelo apostolico per risolvere questioni burocratiche, mette in evidenza
che l’ufficio governativo per le organizzazioni non governative a Baghdad ha
sostituito in questi giorni il profilo WhatsApp con il logo della visita del
Papa. “Anche questo è un gesto di accoglienza e di apertura. Il Signore agisce
nei cuori di tutti, oltre i confini della Chiesa, e c’è gente che ha il cuore
aperto. Spero che questa visita tocchi il cuore di tante persone”.