L’amore che ridona dignità
Gonçalo Fonseca, SJ - JRS-Siria,
Damasco
[Da “Gesuiti 2022 - La Compagnia di Gesù nel mondo”]
Esperienza personale di una missione del JRS in un Paese devastato dalla guerra.
La Siria è stata, per me, una misteriosa fonte di scoperta di luoghi velati di umanità e un’autentica scuola del cuore. Ho visto la vita e la morte, l’amore e l’odio, la speranza e la disperazione, la fede e la paura abitare fianco a fianco in quasi ogni istante dei miei giorni in Siria.
Sono stato guidato attraverso paesaggi umani che non sapevo nemmeno esistessero e la mia geografia della comprensione dell’essere umano ha trovato nuovi percorsi, trasformando per sempre il mio viaggio nella vita. Mi torna in mente il libro di Hans Urs von Balthasar La percezione della forma, sull’estetica teologica, e credo che questa trasformazione venga dall’essere trasportati dall’Amore, l’Amore concreto di Dio nella forma di Cristo. L’Amore che è paziente e gentile, e gioisce della verità, che sempre protegge, confida e spera (cf. San Paolo, 1 Cor 13).
E proprio l’amore
che protegge può interpretare la missione del Servizio dei Gesuiti per i
Rifugiati (JRS) di cui ho avuto il privilegio di far parte e che consiste
nell’“accompagnare, servire e difendere
la causa dei rifugiati e degli sfollati, affinché possano guarire le loro
ferite, diventare autonomi e decidere del proprio futuro”. Il JRS svolge un
ruolo inimmaginabile nel restituire loro la dignità.
La dignità è la qualità dell’essere degni, onorati o stimati. Il primo articolo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1948, sottolinea precisamente che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. La guerra siriana - come tutte le guerre - con le sue devastanti conseguenze ha dilaniato la dignità delle persone, se non la loro stessa vita. Quando qualcuno viene de-umanizzato (cioè privato dei diritti umani come la libertà, la libertà di espressione, la sicurezza, l’alloggio, l’istruzione, l’accesso ai servizi sanitari o ai beni di prima necessità) la sua dignità viene negata e diventa un vagabondo alla ricerca di un posto a cui appartenere. Lottare per la pace e la speranza è un tentativo di recuperare questa dignità.
Restituire la dignità richiede una partecipazione solidale, richiede qualcuno che, almeno, riconosca l’umanità dell’altro, dichiarandone la dignità. Il JRS, compiendo la sua missione, umanizza coloro che sono accompagnati, serviti e rappresentati, e umanizzando i più vulnerabili, privati dei loro diritti umani essenziali, partecipa al ripristino della loro dignità contribuendo al contempo a creare una società più pacifica e giusta.
Quest’intuizione sul ristabilimento della dignità si è
rafforzata in me in seguito a un’esperienza specifica, un’esperienza di vita.
In Siria, non mi sentivo sempre al sicuro, ma mi sentivo sempre protetto.
Strana contraddizione! In effetti, l’ambiente non era sicuro, e alcune
situazioni che ho vissuto celavano serie minacce; tuttavia, le persone con cui
ho lavorato - o di cui sono amico - hanno sempre rivestito un ruolo
fondamentale di protezione, fondato sicuramente sul rispetto ma motivato anche
dall’amore. Amore e protezione sono intercambiabili nelle loro definizioni.
Nelle mie limitate capacità, mi sono accorto di avere a mia volta protetto e
amato loro.
Un episodio molto angosciante mi ha fatto capire ancora meglio l’importanza di ristabilire la dignità. Io e un paio di amici siamo stati fermati, un giorno, ad un check point militare per controlli di routine. Niente di strano, ma quel giorno, per qualche motivo, i militari avevano deciso di prolungare gli interrogatori e le richieste di documentazione con il chiaro scopo di umiliarci. Hanno perquisito, ispezionato ed esposto agli sguardi altrui con tutta l’arroganza del “potere”. Ho visto i miei amici, impassibili, essere spogliati della loro dignità e venire de-umanizzati. Erano rassegnati al loro destino. Io, terrorizzato, mi preparavo a subire la stessa sorte. Non ho nemmeno pensato di protestare. Sapevo che le conseguenze potevano essere, come minimo, molto spiacevoli.
Quando è arrivato il “mio turno”, i miei amici hanno capito che avrei sperimentato la loro stessa umiliazione. Ergendosi da quella condizione di de-umanizzazione, hanno recuperato la voce che era stata loro tolta, si sono frapposti tra me e i militari e mi hanno protetto, nonostante le possibili conseguenze di quella ribellione. Loro, che avevano accettato stoicamente il loro destino, non potevano accettare che io facessi la stessa esperienza. In qualche modo, ci hanno lasciati andare indenni.
Un profondo silenzio calò su di noi. Vergogna, paura,
sollievo, incomprensibilità. La disperazione abitava selvaggiamente quel
silenzio che è stato rotto tempo dopo da una battuta nervosa che rompeva il ghiaccio.
Sperimentai, però, anche un senso di bellezza che capii solo più tardi.
A una certa “distanza” dall’evento, ma ancora investito dall’emozione, sono riuscito ad afferrare la misteriosa bellezza di quell’evento; proteggendomi per amore, i miei amici stessi hanno ristabilito la dignità che era stata loro strappata pochi istanti prima; salvaguardandomi dalla de-umanizzazione hanno affermato la loro umanità illuminando i sentieri oscuri dell’ingiustizia, e così sono diventati più dignitosi e più umani.
Ho capito che l’Amore restaura o rinnova anche la
propria dignità. Ho capito come Cristo, amando l’umanità sulla croce, non solo
ha riparato l’umanità corrotta dal peccato, ma ha elevato la Sua umanità alla
pienezza del suo compimento. Ho capito che il corso della mia umanità - e della
mia vocazione - ha assunto nuove dimensioni perché non solo mi sono
riconosciuto ancora come una persona amata, ma ho anche imparato nuove misure
d’amore.