Dei missionari gesuiti “pionieri dell’ecologia”
Ecologia ante litteram nelle fonti dell’Archivio Romano della Compagnia di Gesù
Di Robert Danieluk, SJ | ARSI (Archivum Romanum Societatis Iesu) – Curia Generalizia
[Da “Gesuiti 2024 - La Compagnia di Gesù nel mondo”]
Uno sguardo singolare sul lavoro di ricerca dei gesuiti missionari che studiavano la natura nei luoghi in cui erano inviati.
Osservare come Dio abita nelle creature: negli elementi dando essere, nelle piante facendo vegetare, negli animali fornendoli di sensi, negli uomini dando l’intendere [...].
È lecito pensare che la parola “ecologia” non si trovi nelle lettere di sant’Ignazio né negli scritti dei gesuiti dei secoli passati. Ciononostante, nell’Archivio Romano della Compagnia di Gesù si conservano documenti che testimoniano dell’interesse di diversi gesuiti per questa problematica, e così giustificano il titolo del presente articolo, il cui scopo è di fare una breve presentazione di alcuni di tali scritti.
Quando i primi compagni hanno iniziato a viaggiare sempre più per compiere le missioni loro affidate dalla Chiesa, fra le preoccupazioni maggiori del Fondatore vi era quella di mantenere l’unità fra questi amici nel Signore. Ad essa si aggiunse ben presto l’esigenza di assicurare un’efficace amministrazione dell’Ordine religioso, il cui numero dei membri cresceva in un modo impressionante.
Una misura concreta che Ignazio raccomandava già
dall’inizio fu quella di mantenere una sistematica comunicazione scritta,
regolata dalle prescrizioni che nel 1580 diventarono la Formula scribendi, che altro non era che un’istruzione, breve ma
sufficientemente dettagliata, su come gestire la corrispondenza ufficiale dei
gesuiti.
Non mancano nella storiografia gli esempi di come tali indicazioni furono messe in pratica. Fra i documenti custoditi nell’Archivum Romanum Societatis Iesu, se ne trovano alcuni che testimoniano dell’interesse dei loro autori per scienze come la botanica e la zoologia. Ecco soltanto due esempi.
Il gesuita polacco Michał Piotr Boym (1612-1659), nella Compagnia dal 1631, viaggiando verso la Cina nel 1643, si trovò a rimanere per lungo tempo in vari luoghi della costa orientale dell’Africa (questa era un’esperienza frequente per i viaggiatori che, navigando da Lisbona a Goa, dovevano aspettare fra lo sbocco del fiume Zambesi e i territori dell’odierno Mozambico prima di proseguire verso Est). Trovandosi così, suo malgrado, nel Continente Nero, il curioso gesuita vide un altro mondo, ben diverso dal suo paese d’origine e dall’insieme dell’Europa. Una parte notevole delle sue sorprese riguardava la flora e la fauna delle regioni in cui sostò, e questa sua impressione era sufficientemente forte da spingerlo a descrivere ciò che vi vedeva. Così, in una relazione mandata a Roma, Boym non soltanto ne diede un rapporto scritto, ma vi aggiunse dei disegni, felicemente sopravvissuti fino ai nostri giorni. In una serie di cinque acquarelli dipinse alcune piante che lo incuriosirono, come l’anacardio e l’ananas. Ha anche realizzato due bellissimi disegni dell’ippopotamo.
Padre Boym non rimase per lungo tempo in Africa.
Abbastanza presto riprese il suo viaggio arrivando, attraverso l’India, in
Cina, dove prestò non meno attenzione a ciò che incontrava intorno a sé. Molte
delle sue osservazioni divennero poi l’opera conosciuta dagli eruditi sotto il
titolo di Flora Sinensis che più
tardi rese famoso il suo autore. Altro motivo della sua fama fu la missione
diplomatica con la quale fu mandato dalla corte dei Ming in Europa. Le lettere
dell’imperatrice cinese, scritte sulla seta e da lui portate a Roma – una al
Papa e una al Generale dei gesuiti – si conservano fra i più preziosi tesori
rispettivamente dell’Archivio Apostolico Vaticano e dell’Archivio Romano della
Compagnia di Gesù.
Ritornando al nostro tema, Boym non fu certo l’unico autore di relazioni di questo tipo. Nel secolo successivo, lo spagnolo José Sánchez Labrador (1717-1798), gesuita dal 1732 e missionario in America del Sud negli anni 1734-1767, dopo l’esilio in Italia scrisse la sua grande opera sul Paraguay, della quale soltanto una parte fu pubblicata. Fra i suoi manoscritti conservati a Roma si trovano molti disegni delle piante e degli animali che lui aveva visto durante la sua permanenza nelle missioni. Accanto ai generalmente conosciuti tabacco o cacao, vi vediamo tante altre specie di uccelli, pesci, rettili o insetti. Se alcuni sono frequenti e facili da incontrare anche ai nostri giorni (almeno in Europa), come il gabbiano, altri sarebbero per molti una curiosità.
Boym e Sánchez Labrador sono soltanto due fra i tanti membri della Compagnia di Gesù che hanno descritto e hanno disegnato la flora e la fauna dei territori delle loro missioni. La fama della quale godevano nel Vecchio Continente i lavori di questi gesuiti si spiega con la loro importanza scientifica, incluso nella medicina, dove la diffusione della conoscenza di certe piante come la chinina, il mate o il curaro, ebbe effetti duraturi.
Ma uno potrebbe chiedersi: “Perché la presenza di tali
documenti nell’archivio dei gesuiti?” I missionari dei secoli passati avevano
certamente abbastanza da fare, tanto che è da scartare subito l’ipotesi
dell’ozio come possibile genesi di tali scritti. In realtà, la ragione va
ritrovata nelle istruzioni di Sant’Ignazio menzionate all’inizio di questo
articolo: varie volte lui, come pure i suoi collaboratori e i suoi successori,
chiedevano ai gesuiti, partiti per luoghi situati fuori dall’Europa, di mandare
informazioni sulle regioni dove si trovavano, e ciò allo scopo di farle
conoscere ai confratelli, nonché ad altri lettori curiosi. Tutto ciò serviva
anche come una buona pubblicità per le missioni e un efficace strumento di
promozione vocazionale.