Imparare a promuovere la giustizia nell’ambito cinese
Vivere una fede che promuove la giustizia significa anche comportarsi e prendere decisioni in ambienti difficili e impegnativi. Quando ci ritroviamo in situazioni di questo tipo, le immagini più diverse riempiono i nostri sentimenti, la nostra immaginazione, le nostre menti ed i nostri cuori. La spiritualità ignaziana presta un’attenzione speciale al discernimento delle immagini, quando partiamo alla ricerca di un senso, come condizione previa alla ricerca di soluzioni definitive per problemi concreti.
Mi piacerebbe condividere qualche riflessione su tre immagini le cui radici affondano nella tradizione ignaziana e nella cultura cinese; esprimono il mio apprendimento personale e l’integrazione di quegli elementi ignaziani che hanno influenzato il modo in cui svolgo la nostra missione in Cina. Queste immagini ed apprendimento si esprimono con tre ideogrammi cinesi: Ren (仁) significa “umanità” e rappresenta l’apprendimento del dialogo con il diverso; Wang (望) indica la “speranza” e sta per apprendere a sperare l’improbabile; Dao (道) che vuol dire “la Via”, ossia l’apprendimento di come non essere necessario costruendo un “insieme per la missione”.
Sin dai tempi di Matteo
Ricci, i gesuiti hanno sentito il fascino del carattere仁 (Ren) che rappresenta una persona con il
numero due: ciò che ci rende umani è la relazione con l’altro. Il
confucianesimo moderno esprime questo concetto come la capacità di sentire con
il cuore altrui; quanto maggiore la divergenza fra due persone, più forte sarà
l’esperienza di farsi umani. Durante i tredici anni in cui ho prestato servizio
in Cina nei Ricci Social Services (Servizi Sociali “Ricci”) sono stato
benedetto da una stretta relazione con gente molto diversa da me: lebbrosi,
adulti e bambini che convivevano con l’HIV/AIDS, le religiose cinesi al loro
servizio, lavoratori del sesso, funzionari pubblici, ecc... Dopo tutti questi
anni non posso intendere me stesso senza di loro: sono diventati parte di me e
del mio modo di intendere la nostra missione, che è la fonte della nostra
identità gesuitica. Molti di loro, anche alcuni funzionari pubblici, sono
diventati miei amici, miei compagni di missione e i miei migliori maestri.
Dialogare con le differenze ha implicato un lungo processo di comprensione di
ciò che ci accomuna, di ciò che ci completa e di ciò che ci spinge in direzioni
opposte. Questo dialogo si è tradotto nella costruzione di uno spazio di
libertà reciproca, che ha trasformato ed approfondito le nostre identità. Il
dialogo – specialmente con quanti sembrano nostri antagonisti – è radicato nel
DNA dei gesuiti: non è solo un modo per portare avanti la nostra missione in
ambienti difficili, è stato ed è una parte fondamentale della nostra missione
di riconciliazione e di giustizia, come dice la 36ª Congregazione Generale.
Il dialogo con la Cina, però, non è rapido ed è così che ho dovuto “imparare a sperare l’improbabile”. Quando abbiamo cominciato a servire i lebbrosi in Cina, trent’anni fa, le condizioni erano terribili: neanche i malati riuscivano a capire perché le religiose che lavoravano con noi volessero raggiungerci nei luoghi più disagiati del Paese, per rimanere a vivere con loro. In quei giorni la domanda che rivolgevano con maggior frequenza alle stoiche religiose che li accudivano era: “Quando ve ne andrete?”. Lo stesso succedeva quindici anni fa, quando cominciammo ad assistere i malati di HIV/AIDS o, cinque anni fa, quando cominciammo ad aiutare le donne a rischio. L’ideogramma cinese che significa “speranza” rappresenta uno studioso che guarda la luna, ma con i piedi ben saldi a terra. Per me ha significato amare il presente e le sue circostanze e sperare nel futuro, servire e dialogare ogni giorno con la realtà attuale, sapendo che, così facendo, ci prepariamo per il dono del futuro. “Speranza” è la parola più importante nelle nostre Congregazioni più recenti e uno dei più grandi regali che io abbia ricevuto in Cina.
Tutto ciò ci porta al terzo carattere: imparare a rendersi non necessari. Lao Tse scrisse che i migliori governanti sono coloro la cui esistenza è quasi ignorata dal popolo: “Il miglior governante resta dietro le quinte e la sua voce si sente raramente”.
Quando il governante compie il proprio dovere, il popolo dichiara: “L’abbiamo fatto”. Un elemento fondamentale nel modo di procedere dei gesuiti è la costruzione di un corpo apostolico per la missione, La missione – che non ci appartiene – non si assegna a individui, ma all’intero corpo apostolico. Il cammino gesuitico coincide con quello cinese, o Dao (道), “Il cammino del Re Saggio”. Ciò è importantissimo quando bisogna costruire una relazione di fiducia reciproca nell’ambiente cinese, dove tutto cambia molto velocemente. I trent’anni di servizio che i Ricci Social Services hanno prestato in Cina, sono la prova che i progressi della missione sono merito della continuità dell’intera comunità e non dei singoli individui.
Imparare a dialogare con
il diverso, sperare l’improbabile, diventare non necessari... mi manca molto
per raggiungere questi obiettivi: come diciamo in Cina, “Più tempo vivi, più
devi imparare”.
[Articolo della pubblicazione "Gesuiti - La Compagnia di Gesù nel mondo - 2020", di Fernando Azpiroz SJ]